Obiezione di coscienza ed eutanasia. Parliamone. |
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Scritto da Ufficio di Presidenza |
Martedì 28 Febbraio 2017 08:06 |
Perchè mettere insieme obiezione di coscienza ed eutanasia? Perchè entrambe rappresentano una libertà di scelta dell'individuo ed una questione morale per il professionista sanitario. Entrambe, pur avendo la prima una legislazione apposita che manca alla seconda, sono state negli ultimi giorni al centro di ampie discussioni sui media. Dalla delibera della Regione Lazio, che assumeva solo ginecologi non obiettori, alla storia di DJ Fabo, il tetraplegico cieco che ha scelto di morire in Svizzera. L’obiezione di coscienza è un concetto che spazia dalla filosofia al diritto, dalla teologia alla politica e si definisce quale condotta opposta da un soggetto, in ottemperanza a valori interiori, rispetto ad un dettame normativo. L'obiezione di coscienza si scontra inevitabilmente con la Costituzione, che all'art. 32 garantisce a tutti i cittadini l'assistenza sanitaria. Si è pertanto dovuto bypassare questo problema con una legge apposita, la 40/2004, che permette A TUTTI I PROFESSIONISTI SANITARI di esprimere un rifiuto avverso certe pratiche. Ecco la prima risposta a tante domande. Per legge anche l'infermiere può esprimere la propria obiezione e rifiutare la partecipazione ad un intervento di interruzione di gravidanza. Più in generale sotto la definizione di obiezione di coscienza esistono le "opzioni di coscienza", ovvero "secundum legem" e le "clausole di coscienza", quindi "contra legem". Questo perchè? L’obiezione di coscienza è una categoria che è stata assunta dal mondo giuridico legislativo che dice che come operatori sanitaria abbiamo diritto per legge di fare obiezione di coscienza nell’ambito dell’interruzione di gravidanza, riconosciuto senza conseguenze giuridiche. Alcuni sono però in difficoltà rispetto al trattamento di un malato sul quale dal nostro punto di vista si stanno esercitando trattamenti sproporzionati ma la legge non ci autorizza ad astenerci da fornire quel trattamento. Noi possiamo fare riferimento alla clausola di coscienza, espressione di una nostra convinzione morale non riconosciuta dall’ordinamento legislativo. Potrebbe essere causa di una sanzione penale o civile, ma se è convinto che sia ingiusto è disposto anche a pagare di persona. La questione fa rientrare il livello etico con una categoria prima risolta con l’obiezione di coscienza. Una volta ob di coscienza non aveva significato legisltativo. Ora non ce l’ha la clausula. Ricopre quell’area nella quale per nostra convinzione morale non siamo disposti a fornire quel trattamento. E qui arriviamo all'eutanasia. Un problema appena sfiorato anche dal nostro Codice Deontologico.
Articolo 38
L'infermiere non attua e non partecipa a interventi finalizzati a provocare la morte, anche se la richiesta proviene dall'assistito.
Definizione piuttosto generica, che peraltro si scontra con altri articoli del Codice stesso. Già al 2° si specifica che "L'assistenza infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia e alla collettività.". Servizio alla persona, non alle proprie convinzioni. All'articolo 3 si parla di "tutela della dignità della persona". La dignità di ognuno non siamo certo noi a stabilirla. E' un concetto assolutamente personale. E poi l'art. 7 "L’infermiere orienta la sua azione al bene dell'assistito", stesso concetto espresso precedentemente. Altri ve ne sarebbero, ma crediamo che il concetto sia passato. Da una parte abbiamo un corpo di norme deontologiche che ci obbligano a rispettare l'individuo e le sue scelte, salvo poi smontarne tutto il costrutto con l'art.38. Siamo profondamente convinti che, come nel caso dell'interruzione volontaria di gravidanza, sia giusto lasciare libertà di scelta al professionista infermiere. Libertà, nel caso passi la legge sul fine vita, di partecipare a determinati interventi o di rifiutarsi. Perchè il nostro "padrone" è l'assistito. Non l'azienda o un codice deontologico che è già in via di rinnovamento.
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Ultimo aggiornamento Martedì 28 Febbraio 2017 08:09 |
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